“Scopo di questo lavoro non è di tirarla per le lunghe con la precisione millimetrica e la pedanteria erudita, lo scopo è di mettere in guardia quanti più esseri umani possibile dal pubblicare quello che scrivono. Uno solo sarebbe già un successo. Anche se quell’uno fossi proprio io.”
Perché scrivere? E, questione ancor più pressante, perché ostinarsi tanto a voler pubblicare? Quello dello scrittore è un lavoro ingrato e che molto raramente paga. Nelle parole di Stephen King, è un mestiere che, “se svolto in totale onestà”, non si addice a nessun membro della buona società. Eppure la fila di candidati di belle speranze che quotidianamente bussano, neanche troppo educatamente, alla porta delle case editrici italiane sembra non esaurirsi mai.
In Dell’inutilità della scrittura. Inchiesta sull’editoria italiana, pubblicato da Editrice Bibliografica, il giornalista Paolo Bianchi passa in rassegna molte delle dinamiche che, da entrambi i lati della barricata (quello degli autori e quello della macchina editoriale), caratterizzano il sovraffollato mercato del libro nel nostro paese. Con ironia e non senza una buona dose di cinismo, Bianchi scoperchia il vaso di Pandora del sottobosco del settore editoriale, con la sua autoreferenzialità e i suoi falsi miti, i tranelli della pubblicazione a pagamento, il miraggio dei premi letterari, il tabù del macero; e ancora l’egocentrismo autoriale, i tanti festival e “fiere della vanità”, l’“inquietante” circuito chiuso dei corsi di narrazione e scrittura creativa.
È frequentemente per vanità, appunto, che si vuole pubblicare. Per rincorrere quell’agognata centralità dell’io che è andata sempre più affermandosi nell’editoria con il passare del tempo. Tuttavia “i grandi scrittori,” ribadisce più volte Bianchi nel corso del suo libro, “sono stati spesso anche grandi dissuasori”; ed è alle loro voci che l’autore si affianca, adoperandosi anche per fare luce su alcuni degli aspetti più taciuti del mestiere, come i suoi risvolti più umilianti e le a dir poco misere retribuzioni. Ma la promessa del vedere il proprio lavoro pubblicato su carta sembra rimanere del tutto irresistibile per un numero perennemente in crescita di sedicenti romanzieri.
Senza mezzi termini, Bianchi punta il dito contro uno scenario che ha del paradossale, in cui orde di aspiranti, quasi universalmente mediocri scrittori si propongono con fin troppa determinazione su un mercato fortemente contratto, fatto per lo più di non-lettori e di lettori deboli. L’Italia infatti – ci ricorda – è stando alle statistiche tra i paesi europei con le più basse percentuali di lettura di libri tra gli adulti, oltre ad essere in coda per quanto riguarda il livello generale di comprensione dei testi da parte della popolazione.
Sull’essenzialità del libro come bene, di cui molto si è discusso in tempi di pandemia, l’autore non si pronuncia.
Ma rimane aperta la domanda, “quis leget haec”: chi lo leggerà?
Questa recensione è stata realizzata nell’ambito del corso di Web, e-commerce e metadati per l’editoria di Paola Di Giampaolo. Vedi l’elenco completo degli insegnamenti del Master Professione Editoria.
Paolo Bianchi – Dell’inutilità della scrittura. Inchiesta sull’editoria italiana.
192 pagg., 22,00 euro – Editrice Bibliografica 2021 (I saggi)
ISBN 9788893573245