Un progetto a cura degli allievi dei master in editoria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Uno sguardo sul libro. L’editoria di oggi secondo Matteo Brambilla

Silvia Maffetti

Professione Editoria

Ha lavorato come responsabile di produzione in Tecniche Nuove, come editor in Kowalski e Apogeo, come Operation Manager in Edra, come Head of Content in Bookrepublic e ora è responsabile di produzione di Adelphi. Ritiene la flessibilità una dote fondamentale e si descrive con una citazione di Robert Heinlein che recita “la specializzazione va bene per gli insetti”. Matteo Brambilla ci racconta l’esperienza editoriale di chi, indossando vesti sempre diverse, ha saputo rinnovarsi nel tempo e nello spazio, un po’ come il libro. “Bisogna saper stare nel mondo del lavoro per com’è adesso”, dice al telefono, “non significa che ognuno debba fare tutto, ma una sana curiosità porta più lontano”.

In cosa consiste esattamente il lavoro di un responsabile della produzione editoriale?

In una casa editrice medio-grande è la persona che manda in stampa i libri, una figura intermedia tra redazione, commerciale e marketing. È chi riceve dalla redazione i file di stampa e li consegna in tipografia; in qualche casa editrice è anche il centro di acquisto e si occupa della gestione di tutto quello che è carta, stampa e confezione. Scivolando nel piccolo e medio, è un ruolo svolto spesso da un redattore che ha acquisito competenze tecniche e sa relazionarsi anche coi fornitori, o altrettanto spesso è in capo al commerciale.

Che criticità presenta un lavoro di questo tipo?

È un lavoro molto legato alle tempistiche: se il calendario prevede che un libro sarà in libreria dal 26 novembre, il distributore deve riceverlo intorno al 16, e i pdf di stampa devono essere pronti almeno 2-3 settimane prima. Molto ovviamente può variare da libro a libro, da progetto a progetto, e soprattutto da editore a editore – se, per esempio, l’impaginazione di interni e copertine è seguita direttamente o esternalizzata a service terzi.

Ecco, a proposito, cosa ne pensa di questa crescente esternalizzazione del lavoro da parte degli editori?

Gestire i contenuti “in casa” e spostar fuori tutto ciò che si può, dalla correzione di bozze all’impaginazione, questa è stata la tendenza degli ultimi anni. Tra pro e contro: anche dopo aver ridotto costi e personale… ho visto editori ritornare sui propri passi: provi a impaginare all’estero, ma poi le complessità si rivelano enormi, per via della barriera linguistica. Oltretutto, sempre più spesso i tempi di lavorazione sono strettissimi.

E invece per quanto riguarda il print on demand? Che opportunità può fornire agli editori?

È un’occasione da sfruttare, però anche qui dipende dal tipo di editore e di prodotto. È una soluzione ideale nel caso di libri semplici per carta e confezione, ma non va bene se il libro ha complessità di formato, stampa, serigrafie o altre nobilitazioni in copertina. Certo, si può anche decidere di modificare in qualche dettaglio il prodotto, purché continui a rimanere in commercio, per esempio sfruttando la coda lunghissima delle vendite online: da una prima edizione alle successive un cartonato può diventare una “semplice” brossura. Ma tutto dipende da quanto si tiene alla continuità di branding. E dal tipo di controllo che vuoi mantenere sul prodotto e da quanto ti fidi delle terze parti, a cui di fatto stai consegnando i tuoi file.

Anche a fronte dell’esperienza in Bookrepublic, pensa che i libri in digitale abbiano potenzialità sufficienti a ricoprire un ruolo di spicco nel mercato editoriale oppure sono destinati a rimanere sempre un passo indietro rispetto al cartaceo?

In Italia l’ebook è decollato nel 2010, partendo forte per arrivare a un plateau, con una lieve crescita negli ultimi anni. Ora, grazie al fatto che le librerie sono state chiuse e alla facilità di accesso ai contenuti, c’è stato un rialzo. Dopo gli iniziali problemi tecnici – digitalizzazioni poco accurate, dispositivi non adeguati – ora la qualità c’è: è un mercato affermato dove i lettori digitali convivono con quelli di carta. Parlando di digitale agli editori, la difficoltà maggiore era convincerli a fidarsi che sarebbero state tutte copie in più, copie che non avrebbero “cannibalizzato” i ricavi della carta. A oggi la grandissima parte dei nuovi titoli in commercio esce contemporaneamente anche in digitale.

E invece per quanto riguarda l’audiolibro?

Nell’esplosione del mercato degli audiolibri ci ritrovo molte delle complessità iniziali che abbiamo affrontato con gli ebook, per esempio una contrattualistica ancora tutta da affinare, una fiducia tra editori, agenti e autori da costruire, eccetera. Ma il boom è indiscutibile e gli sviluppi – basti pensare ai podcast, ai contenuti originali direttamente in audio – davvero molto interessanti.

Di quali tecniche può avvalersi una casa editrice per comunicare se stessa e rendere il proprio marchio riconoscibile in un mercato sempre più ampio e dispersivo?

Se in altri comparti industriali esiste il marketing, in editoria il marketing lo fai con il prodotto stesso, il libro rimane il tuo miglior (e spesso, il solo) strumento di marketing. Al di là di ogni comunicazione possibile – che siano gli sforzi congiunti dell’ufficio stampa, delle reti di promozione, del racconto che fai di te sui social media – io continuo a credere molto nella forza del prodotto, nella sua qualità: un oggetto fisico che deve essere bello da vedere e da sfogliare, non solo come contenuto, ma come idea. Un libro si giudica anche dalla copertina: più la cura dei materiali è alta e più questo traspare al lettore finale.

Eppure, a volte la fama della casa editrice sembra contare per chi acquista più dello stesso prodotto…

Un lettore che entra in libreria può comprare un Supercoralli Einaudi a scatola chiusa – sigillato com’è dal suo termopack a copia singola, oltretutto – grazie al valore di un marchio coltivato nel corso degli anni. Ma una relazione di fiducia si può costruire anche in meno tempo – penso per esempio a un caso come quello di Atlantide che, in pochi anni e in poche decine di titoli, e prestando grande attenzione ai particolari anche tecnici di prodotto, ha saputo trovare un proprio mercato. Tirature inizialmente limitate e numerate, ristampe a colori variati per ridare l’idea di limited edition, un racconto accurato sui social, un rapporto saldo e confidenziale con le librerie indipendenti… senza essere un colosso, fa dei libri che un lettore riconosce e a cui può dare fiducia.

Quanto contano flessibilità, capacità di adattamento e competenze trasversali per lavorare in editoria oggi? È proprio vero che, come scrive sul suo profilo LinkedIn, “la specializzazione va bene per gli insetti”?

La chiusa paradossale di questa celebre citazione di Robert Heinlein mi rappresenta, sì, ma credo che debba essere tenuta bene a mente da tutti, tanto più in questo orizzonte recente segnato dalla pandemia. Ho fatto, ho imparato tante cose diverse, in questi oltre vent’anni di editoria, un po’ è capitato così e un po’ l’ho cercato con curiosità, tra occasioni promettenti che finivano in binari morti e apparenti passi indietro che mi hanno ridato nuovo slancio e prospettive. Una verifica periodica è fondamentale: chiedersi sempre se si stanno imparando cose nuove, o cosa si può fare di nuovo nella realtà in cui ci si trova. Esercitare la curiosità, e saper fare cose diverse, diventa oggi una questione di sopravvivenza.

Eppure, in campo editoriale, molti sembrano voler mettere una sorta di barriera invisibile tra il prodotto libro e il consumatore finale.

Siamo un mercato così piccolo, breve nella sua filiera (e povero, mi permetto di aggiungere) che un redattore secondo me deve porsi il problema di pensare a come vendere il libro che sta curando, pensare anche come verrà presentato e comunicato, eccetera. Io ho imparato moltissimo anche vendendoli fisicamente in fiera, i libri che facevo: ascoltare i lettori, consigliarli, raccoglierne i feedback.

Infine, che consigli darebbe a chi come noi cerca di farsi spazio del mondo editoriale di oggi?

Guardarsi intorno senza rigidità o pregiudizi, innanzitutto, il che non significa ovviamente “piegarsi a far di tutto”, anche se all’inizio può capitare di non sentirsi del tutto in linea per l’incarico assegnato. Ma ho visto persone in stage scappare troppo presto, senza darsi il tempo di capire se in quell’azienda c’era futuro magari in un’altra divisione, in un altro ufficio. Tanto più che nel caso degli editori medio-piccoli i lavori e le competenze sono sfumati e tutto ruota intorno alle persone, alle relazioni.

Matteo Brambilla, responsabile produzione di Adelphi, interviene nel Master BookTelling Comunicare e vendere contenuti editoriali sul tema La forma libro, tra tecnica e scelte editoriali.
Vedi l’elenco dei docenti e degli insegnamenti del Master BookTelling.

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