Nel racconto di un’allieva del Master tutta l’energia e la soddisfazione di partecipare a un progetto comune. Perché in editoria siamo tutti protagonisti, anche quando rimaniamo dietro le quinte.
Venerdì 15 maggio si è tenuto al Salone del libro di Torino l’ultimo evento del ciclo di incontri Editoria in progress. E già mi manca, già ho voglia di guardarmi indietro. Per riprendermi il tempo che non torna, che si scorda – come le sciarpe sui treni – per stanca leggerezza.
Fossimo mosche, ci basterebbero gli occhi. Ma siamo umani, perciò scriviamo. Scriviamo e leggiamo. Ci inseguiamo lungo le parole per trovare quel che abbiamo perso, scivolato sotto al letto, e quel che non abbiamo mai avuto. All’infinito, senza accorgerci che quello che vogliamo sapere è quello che immaginiamo già: non c’è niente di più importante delle relazioni umane. Nell’era dell’individualismo, suona un po’ strano. Ma è così: dalle nuove scoperte scientifiche all’amore, dagli sport alle operazioni umanitarie, servono almeno due persone per realizzare una grande impresa.
E beh, noi eravamo 25. Praticamente un torneo di calcetto, l’intera redazione della De Agostini, Natale. Era impossibile non realizzare qualcosa di fenomenale e grandioso, qualcosa di straordinario come una conversione di non-lettori, la riesumazione di una linotype o una correzione di bozze senza errori. Infatti abbiamo organizzato un ciclo di incontri di editoria. Quale maggiore impresa, mentre gli operatori della filiera del libro ci fanno terrorismo psicologico, l’editoria italiana boccheggia e Renzi cancella i contratti a progetto?
Nessuna.
Eppure – incredibile dictu – ce l’abbiamo fatta. Anche senza il latino e i contratti a progetto. Abbiamo superato ogni ostacolo: i refusi dei documenti, i live tweet, la newsletter, l’esaurimento nervoso. E tutto con quella sola, magica parolina ch’è collaborazione. E che vuol dire “lavorare insieme”. Dimenticate i superpoteri, gli alieni, lo xanax e tutte quelle cose a cui ci affidiamo nei momenti di disperazione. Sarà una collaborazione a salvarvi. Perché se c’è un problema che non sapete risolvere, c’è anche qualcuno a cui potete chiedere aiuto o consiglio per trovare una soluzione. È la parte migliore della legge di Murphy. E credetemi, da un confronto c’è sempre qualcosa da guadagnare, fosse anche solo un trauma cranico.
A noi è andata talmente bene che ne siamo usciti trionfanti, e di più: illesi. Perciò posso scriverci un articolo sopra e permettermi di indugiare ironicamente sulle curve del pensiero. Ma torniamo a noi e al nostro evento, che presumibilmente rientrerà negli annali della Cattolica. Per realizzarlo, ci siamo divisi in tre gruppi: il gruppo blog, il gruppo social, l’ufficio stampa. Ogni gruppo si è impegnato in attività diverse, ma allo stesso scopo (un po’ come Cerbero, che con tre teste sorvegliava l’Ade).
Il gruppo blog si è occupato di redigere i dossier sui relatori dell’evento, riassumendone il percorso formativo e professionale, e di intervistare quelli intervenuti durante l’incontro, per poi pubblicare alcuni articoli sul blog del Master, insieme a una cronaca completa dell’evento. Chiaramente, questi pezzi sono più seri e qualitativamente migliori di questo, come potete constatare qui. Il gruppo, a partire dal momento in cui ha ricevuto il mandato, ha fatto un ottimo lavoro: efficace, puntuale, accurato. E non dirò che il merito del raggiungimento della mission sia da ricondurre alla mia presenza nel gruppo, ma solo perché la preterizione è la mia figura retorica preferita.
Al gruppo blog, si sono prontamente agganciati il gruppo social e l’ufficio stampa, che hanno utilizzato i dossier sui relatori per promuovere l’evento, quindi per programmare le domande da porre ai relatori e animare il dibattito durante l’incontro. Per certi versi, ufficio stampa e gruppo social si somigliano, ma si distinguono per alcuni tratti caratteristici.
Il gruppo social, per esempio, si riconosce perché, come la parola volutamente omette, le persone che lo compongono diventano sociopatiche nel giro di una settimana. Investiti del compito di comunicare su facebook, twitter e tutti quei mezzi che ci avvicinano alle persone lontane e allontanano dalle persone vicine, i prescelti del gruppo social si trasformano presto in social-cyborg: non parlano, non guardano nessuno in faccia, non sorridono se non quando – inavvertitamente – cedono a una risata isterica. Chini su uno smartphone o ipnotizzati da un desktop, i nostri eroi hanno pubblicizzato, a partire da una settimana prima dell’incontro, l’evento e tutte le notizie relative ai relatori coinvolti e al mondo editoriale, invitando chiunque potesse essere interessato alla conferenza su EventBrite e scattando ossessivamente foto. Con pazienza e litri di caffè, hanno sintetizzato, concettualizzato e registrato fiumi di parole sulle più svariate piattaforme virtuali, curando la cronaca attraverso i live tweet e Storify, ch’è un raccoglitore di live tweet dal nome accattivante. Poi sono partiti per le Bahamas, concedendosi un meritato riposo. O almeno, hanno intensamente immaginato di farlo.
L’ufficio stampa, invece, è il cervello ipertrofico per antonomasia. Quello dinamico, produttivo, energico. Roba che mentre stai scrivendo un sms striminzito a tua mamma per farle sapere che sei ancora viva nonostante il master, l’ufficio stampa ha già scritto, riscritto e diffuso il comunicato stampa; ha contattato, e invitato tutti i membri della mailing list e i blogger specializzati sul tema centrale dell’evento; ha stilato la scheda relatori da consegnare al pubblico; ha stampato i badge per gli organizzatori e ha curato ogni dettaglio dell’accoglienza e dello smistamento dei partecipanti, anche di quelli che non verranno o non esistono. Tutte cose che ha effettivamente fatto, per la cronaca. Io, invece, non ho scritto alcun sms a mia madre.
Insomma, l’ufficio stampa fa un po’ la parte del secchione, di quello che al martedì ha già finito i compiti per la settimana dopo e te lo comunica con un sorriso beffardo, giusto per ricordarti che non ce la potrai mai fare. Del resto, tu sei solo un povero membro del gruppo blog incaricato di descrivere l’organizzazione dell’ultimo incontro di Editoria in Progress dandogli un taglio personale. Uno che nel tentativo di farlo non l’ha fatto quasi per niente. Insomma: uno zero, come direbbe qualcuno.
E però uno zero importante, ché senza come otterremmo il dieci, il cento, il mille?
Il senso dell’editoria è proprio questo: a prescindere dalla visibilità e dall’entità del proprio ruolo, dalla durata e dalla valenza del proprio contributo, le cose funzionano se c’è sinergia, se si coopera tentando di fare il massimo per la squadra, se si costituisce un telefono senza fili bello come un gioco infantile e grande come la realtà.
Siamo tutti protagonisti, anche quando rimaniamo dietro le quinte. Questo è quello che ci insegna l’editoria, ed è questo che ho imparato da Editoria in Progress.