Da Ad Alta Voce a Fahrenheit, Radio 3 è uno dei palcoscenici radiofonici su cui da oltre vent’anni va in onda il libro e un osservatorio straordinario per cogliere nuove tendenze. Ce ne parla il suo direttore, nostro ospite a Engaging The Reader il 17 novembre in Università Cattolica a Milano
Lei è da sempre in prima linea (non solo nell’etere) per promuovere letterature e nuovi linguaggi per raccontarle. Quali sono secondo lei i nuovi canali di fruizione più efficaci verso cui libri e storie si stanno muovendo?
Il problema è molto ampio, perché non si tratta solo di nuovi canali attraverso i quali vengono veicolati i libri, come appunto accade con Amazon o in generale col digitale. Si tratta piuttosto del fatto che quello che un tempo era il mondo del libro e delle storie è diventato qualcosa di molto più ricco e complesso: si pensi ai racconti in rete, alle serie televisive… È a un nuovo processo, che stiamo assistendo: a una moltiplicazione delle narrazioni. Questo sicuramente mette un po’ in difficoltà il libro, che è il campo di elezione delle narrazioni. Adesso, invece, le narrazioni, cioè quello che era l’oggetto del libro e delle letterature, assumono non solo nuovi linguaggi ma nuove piattaforme. Quella delle serie televisive è l’esempio più lampante, ma in realtà tutta l’attività che si svolge in rete, anche quella più social, è una forma di narrazione continua. Questo processo sta cambiando il panorama; e non parlo solo delle vendite e del mercato del libro, a cui noi addetti ai lavori stiamo sempre attenti, ma proprio della creazione letteraria.
A proposito di questo, c’è tutta una discussione online a proposito delle serie TV come “nuova letteratura”: cosa ne pensa?
Penso che usare il termine letteratura sia per un verso troppo e dall’altro troppo poco. Preferisco non usarlo, ma non per un discorso elitario sulla qualità della letteratura, piuttosto perché penso che non renda conto dell’insieme del prodotto “serie TV”, che avrebbe bisogno di una definizione diversa. Preferisco, quindi, parlare di narrazione, ovvero di qualcosa di più generale che comprende letteratura, libri, serie TV, ma anche forme di racconto legate alla nostra vita sociale: un’enorme moltiplicazione della narrazione all’interno della quale il prodotto che sicuramente risulta più popolare sono le serie TV. È un discorso, però, non nuovo: si pensi a quando si disse la stessa cosa del cinema, o anche del teatro, che pure è una forma eminentemente letteraria. Il cinema era letteratura, secondo quel dibattito? In parte sicuramente lo era, in parte era fatto con la letteratura… Ciò che ritengo importante, piuttosto, è che il cinema allargava l’area della narrazione e del pubblico di quella narrazione. Naturalmente anche il cinema ha messo in discussione la centralità della letteratura come sistema basato sostanzialmente sui libri. Cioè, si mise in discussione tutto quel sistema che già con l’avvento del cinema e degli altri linguaggi delle comunicazioni di massa era cambiato, o meglio era entrato almeno parzialmente in crisi. C’è da dire, in ogni caso, che quella crisi fu enormemente compensata dal fatto che con la scolarizzazione di massa, con la culturalizzazione, questo pubblico, nel Novecento, si era enormemente allargato. Oggi quella trasformazione conosce una fase ancora più intensa, più densa, che è quella, per l’appunto, della moltiplicazione delle narrazioni in tutti i momenti della nostra vita: siamo sempre al centro di una narrazione. Tutto questo processo sta accadendo sotto ai nostri occhi, per cui si fa ancora fatica a sistematizzarlo; ma è qualcosa di nuovo, di potente.
La quasi ventennale esperienza di Fahrenheit su Radio 3, programma di cui è stato ideatore e conduttore, rappresenta ormai un osservatorio tra i più accreditati per cogliere nuove tendenze letterarie o nelle modalità di ricezione dei lettori, e per osservare forme particolarmente efficaci di comunicazione editoriale. Quali nuovi scenari intravede su questi fronti?
Fahrenheit è stato ed è un osservatorio enorme. Proprio da lì ho visto cambiare il pubblico del libro. È stato il protagonista di un mutamento nella sua divulgazione. Fahrenheit è nato nel 1999 ma già da almeno quattro anni prima su Radio Rai si stava facendo largo una comunicazione simile, basata su un linguaggio radiofonico che fa cultura ma è accogliente, non intimidatorio, amichevole. Più o meno nello stesso periodo sono nati i festival della letteratura e del libro: questo nuovo tipo di esperienze hanno avuto, sin da subito, un rapporto ambivalente con la letteratura; sicuramente hanno avvicinato i lettori al mondo del libro, ma non hanno generato nuovi lettori – o almeno nuovi acquirenti. Di solito pensiamo: “nascono i festival, ecco un nuovo spazio per la circolazione dei libri”. In realtà accade qualcosa di diverso: questi eventi si configurano piuttosto come spazio per la circolazione di idee, che è il vero tema dei festival. Quindi, non è del tutto corretto che favoriscano la lettura, anzi, in un un certo senso la contrastano, perché la sostituiscono.
Tutto questo, mi è capitato di vederlo attraverso Fahrenheit. Può apparire elementare, oggi, ma nella sua prima manifestazione era qualcosa di sorprendente. Da questo punto di vista, Fahrenheit e altri programmi come questo dimostrano come la lettura sia diventata qualcosa di plastico, di mobile, che cambia nel tempo, sotto i nostri occhi.
Il recente boom degli audiolibri testimonia di come una nuova tendenza affondi in esperienze che nuove, in realtà, non sono. Una realtà come quella di Ad alta voce su Radio 3 ne è in qualche modo capostipite e continua a esserlo in questo scenario del cambiamento, e la stessa emittente radiofonica di cui è direttore, attraverso streaming e podcast, ha sempre dimostrato di stare al passo coi tempi e le nuove tecnologie pur richiamandosi alla tradizione. Quali sono le dinamiche che rendono possibile questo successo?
Tecnicamente, gli audiolibri esistono da decenni. Ma non hanno mai avuto successo in Italia. Ho assistito personalmente al tentativo di lanciare questo mercato. Perché hanno un certo successo oggi? Perché la gente si è abituata a forme di narrazione diversa. Prima, una forma di narrazione che non risiedeva nel libro, nella lettura, era considerata qualcosa di eccentrico e, quindi, in un certo senso anche sgradevole – e comunque non popolare. Oggi, la forma della narrazione trascina con sé anche un genere, l’audiolibro, che in Italia non è mai decollato. È una forma di narrazione particolare: intanto, perché può essere gratuita (penso più che altro ai podcast), ma poi anche perché può presentare un valore aggiunto come la qualità di una lettura affidata ad attori. Si prenda a esempio anche Ad alta voce: sono letture particolari, forme che in passato non c’erano. Guardando la classifica di podcast su iTunes, questo nostro programma in particolare è ai primi posti, e per noi è qualcosa di sorprendente. È un prodotto letterario – non è certo un prodotto che punta a un principio popolare –, eppure… Perché, dunque? Perché è cresciuta l’abitudine ad avere a che fare con le narrazioni in modo diverso. È un prodotto che riesce a essere popolare proprio perché la gente ormai si è abituata ad ascoltare narrazioni, a ritrovarle non solo nel luogo consueto che erano i libri. Non c’è ne sono molti, di programmi di questo tipo. E il digitale sembra favorire un’apertura a prodotti culturali come i nostri programmi.
Marino Sinibaldi interviene nella tavola rotonda “Esperienze creative di comunicazione editoriale”, all’interno di Engaging The Reader, con Pietro Biancardi di Iperborea e libreria Verso e Orfeo Pagnani di Exòrma editore e Modus Legendi Billy il vizio di leggere, coordinati da Paola Di Giampaolo.
Il workshop organizzato dal Master Professione Editoria è gratuito e aperto al pubblico, fino a esaurimento posti. L’appuntamento è per venerdì 17 novembre 2017, h. 9.30-16.00 Università Cattolica, Largo Gemelli 1, Milano, Aula Pio XI
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