Un progetto a cura degli allievi dei master in editoria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Luigi Filippelli, l’editore punk

Francesca Della Bona

Professione Editoria

Luigi Filippelli, editore, scrittore e fumettista, è autore di 13 sardine circa e dei fumetti Cipolla, Stereolite e Un corpo smembrato ed è co-fondatore dell’officina editoriale MalEdizioni.

Com’è nata la storia d’amore tra te e il fumetto?

È nata che ero ancora piccolino. In casa mia ci sono sempre stati fumetti. Il primo che ho acquistato con i miei risparmi è stato un fumetto dei supereroi, c’erano in copertina Visione e Occhio di Falco. C’erano l’azione, i costumi, l’avventura. Queste storie iniziavano a porti dei quesiti impegnativi: cosa significa essere un eroe, quali sono le cose giuste da fare e cosa invece va contro gli altri? Poco alla volta ho iniziato ad accumularli.

Poi dai supereroi cos’è successo?

Sono sempre stato un lettore onnivoro. Ero un grande appassionato delle enciclopedie dei dinosauri, per esempio. A un certo punto, crescendo, prima mi sono aperto verso il manga, poi ho incontrato il fumetto europeo, soprattutto fantasy. Sia i fumetti americani che i manga erano molto accessibili dal punto di vista economico per un ragazzo. Più avanti, avendo più disponibilità economica, esplorando, sono arrivato al graphic novel. Credo che il fumetto abbia tantissime potenzialità narrative da questo punto di vista. È bello continuare a esplorarlo ed è tuttora in espansione.

In che modo il fumetto può raccontare più efficacemente una storia rispetto ad altri mezzi?

Il fumetto è un linguaggio con delle sue regole specifiche. C’è una parte visiva come nel cinema, una parte scritta come nei romanzi. La cosa unica del fumetto è il fatto che viene richiesta una grande partecipazione da parte del lettore: il cinema è un flusso di immagini che vanno a creare la sequenza, la sequenza del fumetto è spezzettata per sua natura all’interno delle vignette, fra una vignetta e l’altra serve che il lettore vada a colmare un vuoto. Lavorare su questi vuoti è molto interessante: cosa non ti racconto e cosa scelgo di raccontarti? Anche sul posizionamento delle vignette: come creo il flusso della lettura? Che percorso farà l’occhio, dove andrà a cercare dei punti di riferimento? Ci sono tante sperimentazioni dal punto di vista visivo, e il fatto che possano andare a braccetto o in contrasto con la parola crea delle possibilità espressive ulteriori.

Secondo te, in questo momento, nel fumetto si può sperimentare più che in altri contesti?

Penso di sì. Ovviamente c’è un mercato e, come in tutti i mercati, ci sono mode, elementi che vengono ricercati, temi che si stanno affrontando. Altre cose, invece, vengono considerate già digerite. Però, fra gli ambiti culturali che ho frequentato, mi sembra quello che ha più freschezza in questo momento. Uno dei passaggi importanti che molti giovani fumettisti compiono è creare delle piccole etichette di autoproduzione. Possono essere di una singola persona, ma molto più spesso sono dei veri e propri collettivi artistici. Ci sono molte fiere che hanno aree dedicate all’autoproduzione. In quegli spazi c’è sicuramente tantissimo fermento e libertà creativa. Anche i festival offrono uno spazio in cui la comunità crea confronto, e dove le competenze vengono condivise: se io scopro, per esempio, un modo per stampare più economico lo condivido con gli altri.

Questo è il decimo compleanno della tua officina editoriale MalEdizioni. Qual è stato l’impulso per cominciare questo viaggio?

Se ci fosse stato un contesto che avesse accolto la nostra voglia di fare (in casa editrice siamo in due: io e Nadia Bordonali) probabilmente saremmo entrati in una realtà già esistente e avremmo cercato di fare quello che ci piaceva lì. Abbiamo avuto la sensazione molto forte che quello che veniva chiesto a noi ragazzi, che eravamo appena usciti dall’università, non più ragazzini ma non ancora dentro al mondo del lavoro, fosse di non dare fastidio. Come se non ci fosse uno spazio per noi. Per trovarlo abbiamo aperto MalEdizioni nel 2011.

Quindi il vostro è stato anche un atto di ribellione.

Sì (ride). Con molta ingenuità. Però anche con un’attitudine molto positiva: volevamo imparare assorbendo tutto il possibile. Andare in tipografia, conoscere lo stampatore, vedere cosa fa, parlare con lui delle carte. Il mondo dell’editoria è molto ricco perché ha tante figure professionali al suo interno. Riuscire ad essere competenti a tutto tondo quindi è difficile, però è anche quello che richiede una piccolissima casa editrice come la nostra. Non è semplice riuscire a fare in due tutto quello che dovrebbero fare diverse figure professionali, quindi ci si specializza in più direzioni.

Da quando avete iniziato ad oggi, che cosa è cambiato secondo te?

Nell’ambito del fumetto si è ampliata la platea dei lettori. Forse è aumentata molto la produzione per questo motivo, ma a volte ho l’impressione che si potrebbe far uscire un po’ meno selezionando di più le pubblicazioni in modo da mantenere il livello qualitativo sempre molto alto. Penso che la fortuna del fumetto sia stata anche che con le graphic novel sono arrivati in libreria tanti libri di qualità. Adesso, però, forse ci sarebbe bisogno di trovare nuove strade e mantenere questo spirito di ricerca. Le possibilità espressive sono ancora molte.

Pensi che ci sia un’attenzione maggiore al guadagno rispetto a prima?

In generale devo dire che c’è grande passione in questo settore. Sia da parte di chi lavora nelle grandi case editrici, sia per chi ha delle piccole etichette indipendenti. Spesso queste realtà sono nate in periodi in cui non si pensava che ci sarebbe stata questa crescita. Il fumetto è sempre stato una nicchia, tra fumettisti e editori ci si conosce tutti, è difficile non appassionarsi, perché si parte tutti da lettori. Credo che in generale come sistema sia, in questo momento, positivo. La mia preoccupazione è solo quella che si vada nella direzione dell’editoria di narrativa, in cui escono tantissimi titoli cercando il caso editoriale, soprattutto nelle grandi case editrici. Ma è anche vero che il settore ha una grande attitudine alla ricerca e alla scoperta. E sicuramente il fumetto aiuta da questo punto di vista, nel senso che, essendo fatto di immagini, consente più facilmente di scoprire degli autori nuovi. Se io apro un libro di un esordiente di narrativa devo leggere qualche pagina per farmi un’idea, se apro un fumetto di un esordiente vedo i suoi disegni e ho subito un certo tipo di impatto.

Tu oltre ad essere editore sei anche autore. Hai sempre saputo che saresti stato entrambe le cose?

Fin da quando ero piccolo mi sarebbe piaciuto scrivere le mie storie. La cosa più vecchia che ho fatto da me è un’enciclopedia dei dinosauri. L’avevo realizzata da bambino come un piccolo libro: con la copertina e dentro spiegati i dinosauri attraverso dei disegni. L’antologia di racconti 13 sardine circa è stata pubblicato da MalEdizioni quindi le due cose sono andate di pari passo. Questo è successo anche perché, non avendo noi un’esperienza diretta dell’editoria, quando abbiamo aperto la casa editrice ci siamo detti: “Ok, il primo libro non possiamo rischiare che non funzioni coinvolgendo altre persone, usiamo questi miei racconti che mi piacerebbe portare al pubblico”. Quindi le due cose hanno fatto una da palestra all’altra: la parte creativa è migliorata perché serviva per la casa editrice, la casa editrice ha potuto fare il suo primo passo perché c’erano dei racconti fatti da me. Un do it yourself molto punk: autoformazione e autoapprendimento.

A questo punto ti senti più autore o più editore?

Sai che non lo so? Forse questo lavoro è molto adatto a me perché sono una persona che tende ad annoiarsi. Ho bisogno di imparare cose nuove e di sperimentare in direzioni nuove, quindi avere la possibilità di lavorare con altri come autore e scegliere chi pubblicare con la casa editrice. Con MalEdizioni organizziamo anche un festival, la Microeditoria del fumetto. Penso che si crei un’unica professionalità che è entrambe le cose: fare l’editore ti porta necessariamente a confrontarti con tantissimi aspetti della realtà. E questo va a nutrire la mia parte di scrittore, penso che tutti gli scrittori abbiano bisogno di qualcosa che non sia lo scrivere. La scrittura da sola non mi interessa. La scrittura, e anche l’editoria, come occasione per incontrare gli altri, confrontarsi, avere a che fare con qualcosa di diverso da sé, invece, è proprio la cosa che ricerco. Quindi anche in questo caso si muovono di pari passo.

Il Covid vi ha colpito molto?

Col fermo imposto per il Covid, niente più festival. Essendo piccoli come noi si fa più fatica. Non incontri i tuoi lettori, non vai tu da loro, devono stare loro a seguirti e magari si perdono qualcosa che hai fatto uscire. È normale, escono tante cose in libreria. In realtà abbiamo fatto un po’ più libri del solito, anche se più piccoli, perché avevamo più tempo a disposizione. In questo senso siamo andati controtendenza. Però adesso bisogna riuscire a portare questi libri al pubblico. Essendo una casa editrice piccola dobbiamo fare in modo che ogni libro che creiamo abbia un valore nel tempo. Ogni libro deve essere importante. Ecco perché proponiamo anche libri di anni passati, che magari vengono da un altro momento della casa editrice, ma che per noi hanno sempre un valore, perché fin dall’inizio li abbiamo scelti, abbiamo scelto di fare proprio quel libro lì. Non abbiamo bisogno di andare a riempire dei buchi, perché per noi ogni libro è fondamentale.

 

Luigi Filippelli è intervenuto con Loris CantarelliMichele Foschini e Marco Schiavone,  il 19 aprile 2021 al 1° FORUM NAZIONALE DEI BOOKINFLUENCER – Rassegna della microeditoria, ultimo appuntamento del ciclo di Dibattiti di Book Tales. Rivedi su YouTube tutti gli incontri!

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