Un progetto a cura degli allievi dei master in editoria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

L’editoria? Un’industria passionale. Il mestiere dell’agente letterario secondo Vicki Satlow

Il volto sorridente di Vicki Satlow

Miriam Bonanno

Professione Editoria

Quella dell’agente letterario è una professione che, pur suscitando curiosità e interesse, sembra ancora avvolta da una certa aura di mistero. Vicki Satlow, fondatrice della Vicki Satlow Literary Agency ci aiuta a fare un po’ di chiarezza offrendoci una visione sul passato e sul presente di questa affascinante professione. Uno sguardo competente, attento e appassionato che si allarga sull’industria editoriale nel suo complesso.

Cosa fa un agente letterario? Quali sono le qualità personali e le competenze che dovrebbe avere chi desidera intraprendere questa professione?

L’agente letterario è la figura che opera per collocare commercialmente l’opera dell’autore, nel modo migliore, con i termini e le condizioni economiche giuste. Una volta collocata l’opera presso la casa editrice l’agente si fa portatore degli interessi dell’autore e, qualora fosse necessario, li difende. Non trattandosi di una scienza, esistono però mille modi per svolgere questa professione. Credo che sia sicuramente necessaria una forte passione per i libri. Allo stesso tempo è essenziale avere una panoramica del mercato editoriale e la consapevolezza dell’opera che si tratta.

Sono convinta che l’identità di un’agenzia letteraria (quindi la sua offerta di autori, generi e opere) si fonda sul gusto della persona che la gestisce. Un buon agente dovrebbe quindi avere le idee chiare circa il proprio gusto e avere il coraggio di affidarvisi. Ma, più di tutto, è fondamentale avere la consapevolezza che il proprio gusto abbia un valore. All’inizio della mia carriera mi domandavo spesso: “Come faccio a sapere che ciò che piace a me piacerà anche agli altri?”. Una persona che stimo molto mi fece notare che un certo gusto non poteva appartenermi esclusivamente. Insomma, non può essere che il proprio gusto non abbia nulla in comune con quello degli altri.

Qual è, a suo parere, l’aspetto più delicato del suo lavoro?

L’aspetto più delicato di questa professione ha a che fare con la consapevolezza che esiste il libro dello scrittore ed esiste il libro dell’editore. In qualche modo, nella filiera editoriale, siamo tutti fragili, perché mettiamo in gioco i nostri gusti, le nostre idee e convinzioni, i nostri sogni. Primo fra tutti l’autore, che quando affida la propria opera all’agente o alla casa editrice consegna un pezzo di sé. Io vendo dei contenuti che credo abbiano un valore, devo credere nella validità di quei contenuti e di quelle forme; almeno, è su questa convinzione che ho improntato la mia personale ricerca professionale. L’editoria è un’industria molto passionale e, come tutte le passioni, porta con sé dei rischi. E come tutte le passioni va trattata con cura e sensibilità.

Partendo dalla sua esperienza, quanto e come è cambiato il lavoro dell’agente da quando lei ha intrapreso questa professione?

Tantissimo. Oggi le agenzie letterarie tendono a occuparsi anche del lavoro di editing sul manoscritto. Anche se personalmente ho scelto di non seguire questa strada, capisco che anticipare la fase di editing aumenta le possibilità di collocare l’opera presso l’editore. Perché un libro che si presenta al suo meglio si vende meglio.

Un’altra evidente trasformazione, più di ordine culturale, riguarda il fatto che oggi, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, c’è molto più riguardo per gli autori di lingua propria. Se fino a poco tempo fa il mercato era fortemente orientato verso il mondo anglosassone, credo che oggi ci sia da parte degli autori e degli addetti ai lavori una più forte presa di coscienza della propria cultura. Potremmo dire che gli scrittori si sono appropriati maggiormente del loro patrimonio culturale; e mi sembra che i lettori abbiano apprezzato.

Cosa potrebbe dirmi sui cambiamenti della sua professione in relazione alle trasformazioni a cui è andata incontro l’editoria negli ultimi quindici anni?

Alcuni visibili cambiamenti del mercato editoriale sono stati portati dall’ideazione e dalla commercializzazione di nuovi prodotti, quali l’ebook e l’audiolibro. L’ ebook non è però stato la rivoluzione che si temeva potesse essere. Ebook e audiolibro non hanno infatti scalzato l’egemonia della forma libro classica. Ci si è anzi resi conto che tali prodotti costituiscono dei collaterali più che degli antagonisti al libro di carta. Ciò che cambia è il modo attraverso cui lo storytelling si offre al lettore; mutano le vie in cui le storie prendono forma e le modalità con cui vengono raccontate e acquistate. Questo avviene anche perché il business model è in costante mutamento.

Un’altra importante novità che ha messo in discussione, o almeno ha posto interrogativi alla struttura della filiera editoriale è quella dell’autopubblicazione…

Il self-publishing ha il merito di aver democratizzato un mondo che tende a essere chiuso, autoreferenziale, arcaico. Allo stesso tempo ha reso però più evidente l’utilità del lavoro dell’editore – dalla correzione di bozze al know-how della copertina, passando per l’impaginazione, per fare solo alcuni esempi – e l’importanza della sua funzione mediatrice. Credo che nessuno potrà più affermare che l’editore è inutile. Quello del self-publishing è comunque un fenomeno interessante, perché in alcuni casi offre allo scrittore l’opportunità di testare il mercato. È chiaro però che un’autopubblicazione “ingenua”(magari da parte di un autore che non è nemmeno presente sui social) che non si inserisca all’interno di una strategia di comunicazione rischia di portare allo scrittore più delusioni che gratificazioni.

Penso comunque che siano pochi gli autori che possono, che vogliono e che sappiano farsi carico di quelle attività solitamente di competenza dell’editore o dell’agente. Mi sembra che la maggior parte degli scrittori non desideri altro che chiudersi in casa a scrivere!

Tornando alle specificità della sua professione, quali sono le responsabilità dell’agente verso l’editore e nei confronti del lettore?

All’editore devo garantire che i “miei” scrittori sono quello che dicono di essere, che finiranno il libro, che manterranno gli impegni presi e si comporteranno in modo professionale e rispettoso. Quella che sento di avere nei confronti dei lettori è invece una responsabilità di tipo morale. È chiaro che quando si parla di etica le risposte si moltiplicano. Riferendomi alla mia personale esperienza, posso dire che mi è capitato di trovarmi di fronte a romanzi che pur presentando storie, personaggi e ambienti del tutto verosimili, avevano per protagonisti dei personaggi, dall’antisemita allo stupratore, che urtavano la mia sensibilità e con cui trovavo davvero difficile identificarmi. Allo stesso modo se reputo che alcune storie siano troppo offensive, magari verso certe categorie sociali o tipologie umane, non sento il bisogno di contribuire alla loro pubblicazione.

Che rapporto c’è fra la sua attività di agente e quella di editore? Come l’una pone quesiti all’altra?

Grazie alla casa editrice che ho co-fondato, VandA.e-Publishing, ho acquistato un enorme rispetto nei confronti dell’editore perché vedo quanto è difficile trovare il mercato e gestirlo. Mi verrebbe quasi da dire che il mestiere dell’agente è relativamente semplice se confrontato con quello di chi gestisce una casa editrice. È l’editore che investe. Ed è sempre l’editore che deve trovare il mercato all’opera. Anche se c’è chi vede nell’agente un antagonista dell’editore, quello fra le due parti dovrebbe essere un lavoro di squadra. Se la catena infatti non è ben oleata l’autore non guadagna, e se l’autore non guadagna non può scrivere. Insomma, se non ci sono profitti tutti perdono.

Sempre che sia possibile individuare una tendenza generale, a che generi di storie e tematiche le sembrano oggi più interessati case editrici e pubblico dei lettori?

Il movimento del Me Too ha sicuramente dato nuova linfa vitale alle narrazioni femminili e ha fatto emergere tematiche legate alla discriminazione di genere e al female empowerment. Prevedo, e spero di non sbagliarmi, che il mercato del libro sia adesso pronto per accogliere le narrazioni dell’esperienza del rifugiato, dell’immigrato, del nero, dell’“altro”. Fatta forse eccezione per il best seller Il cacciatore di aquiloni, credo infatti che non sia ancora stato pubblicato un libro capace di accendere l’interesse del grande pubblico su questo tema. Forse stiamo solo aspettando un grande romanzo e un personaggio indimenticabile con cui immedesimarci.

Vicki Satlow Literary Agency collabora da anni con i nostri Master. L’elenco completo (in continuo aggiornamento ed estensione) delle aziende partner, lo trovate qui per Master Professione Editoria e qui per BookTelling.

 

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