La rivista multimediale per chi crede nella democrazia della conoscenza e nel potere trasformativo delle arti. I suoi ideatori descrivono così il progetto Lucy. Sulla cultura. Gli autori propongono interviste, contributi audio e video, illustrazioni su temi di cultura, arte e attualità. Il ruolo di direttore è stato affidato a Nicola Lagioia, mentre la responsabile editoriale è Irene Graziosi. È lei a raccontare come è nata Lucy e come ha mosso i primi passi nel panorama culturale moderno.
Come è iniziato il tuo percorso con Lucy? Hai partecipato alla sua creazione o sei stata chiamata quando la rivista era già esistente?
L’idea della rivista è nata un anno e mezzo fa (settembre 2021 NdR), ci sembrava che mancasse uno spazio simile nel panorama culturale italiano. Ci siamo ispirati ai grandi dell’estero. Ma abbiamo deciso di creare qualcosa di originale. Penso di essere stata presa in considerazione per entrare nel progetto grazie al lavoro che ho svolto con Sofia Viscardi per Venti, dove ho acquisito competenze e capacità che ora mi tornano molto utili.
Di cosa ti occupi come responsabile editoriale?
Se vuoi ti racconto brevemente cosa ho fatto questa mattina. Prima ho scritto a un autore per discutere insieme la bozza di un articolo che ha appena iniziato. Poi ho cercato delle fonti per un altro autore, così che possa avere riferimenti per il suo lavoro. Quindi mi sono dedicata a una delle nostre rubriche, Letto, visto, ascoltato e alla Newsletter. Quando finiremo la nostra intervista, mi dedicherò al paper edit di un video, minutandolo.
Quindi la flessibilità è il segreto dietro al tuo ruolo?
Le giornate di lavoro sono molto diverse tra loro, a volte passo tutto il tempo seduta alla scrivania in casa o in redazione per lavorare agli articoli, ma poi ci sono le giornate di produzione con gli ospiti e i videomaker. Per Lucy tutti noi della redazione svolgiamo un doppio ruolo: autorale e redazionale, sia per quanto riguarda i pezzi che per quanto riguarda i video. Mi viene in mente la video ricerca sul conoscere sé stessi, che è un lavoro molto personale in cui sono confluite tante delle cose pensate negli ultimi tempi. E dall’anno prossimo anche gli altri autori di Lucy inaugureranno le loro ricerche.
Ogni mese su Lucy escono diversi articoli che hanno un tema centrale e comune. Come avviene la scelta?
Per decidere l’argomento da trattare prima di avere un ufficio ci trovavamo a casa mia e di Lorenzo Gramatica (editor e autore), o in quella di Nicola, ci pensavamo tutto il giorno, poi aprivamo una birra e mentre chiacchieravamo usciva fuori di cosa parlare nelle pubblicazioni successive. Ora succede lo stesso ma in ufficio. Di solito seguiamo due criteri: il bello e l’interessante. Non ci concentriamo troppo sulla creazione di una linea editoriale che sia perfettamente bilanciata. Possiamo avere anche due o tre pezzi molto pop a cui ne segue uno di nicchia. Sono i criteri estetici a mettere d’accordo tutti.
Lucy ha esordito con un articolo sulla lingua della scrittrice Nadeesha Uyangoda. Uno degli obiettivi della rivista è fare sì che la nuova cultura sia accogliente per tutti?
La cultura deve essere inclusiva, sempre, bisogna però fare attenzione a non ghettizzarla per sbaglio, pur avendo buone intenzioni. Non dovremmo sottolineare qualcosa di anormale (in senso statistico) di un oggetto se vogliamo che quell’oggetto sia trattato al pari di tutti gli altri. Se parliamo di libri per le donne, oppure di letteratura migrante, spesso il risultato è di natura escludente. L’idea alla base del nostro lavoro è quella di pubblicare ciò che è bello, impegnandoci nella ricerca di ciò che è bello anche in luoghi apparentemente lontani.
Parlando ancora del contenuto, avete esordito con Telmo Pievani e Domenico Starnone, Annie Ernaux e Giovanna Tinetti. Lucy unisce alta letteratura e conoscenze scientifiche. Cercate di creare un sapere nuovo?
La nostra formazione in prevalenza umanistica ci rende complicato fare quello che vorremmo davvero, lo sguardo si posa più facilmente sulle cose conosciute. Abbiamo voluto, però, accettare questa sfida e curare anche la parte scientifica. Cerchiamo di presentare articoli che non abbiano un linguaggio di servizio e che siano accessibili a tutti. Vogliamo raccontare la scienza in modo romantico, affascinante e rigoroso, rimanendo connessi all’attualità. È difficile trovare gli autori giusti per questi articoli, siamo sempre aperti a nuove proposte di collaborazione.
È interessante la volontà di raggiungere un pubblico più ampio possibile. Nella rivista non mancano i richiami ai più giovani, attratti anche con forme di comunicazione innovative, come i podcast.
Lucy è una rivista per tutti, mancava un riferimento culturale più pop, che fosse accessibile anche a chi non frequenta l’ambito accademico. I lettori sono un po’ timidi su Instagram e sui social in generale, però ci sono arrivati dei buoni feedback e anche dei consigli interessanti. Secondo me la cultura dovrebbe abbracciare tutto da un punto di vista umano.
Su Lucy avete parlato anche di realtà che possono dividere i lettori. Fino a che punto si può spingere una rivista culturale in merito a temi così importanti come l’uso di droghe o la situazione in Russia?
Ci sono tanti modi per trattare argomenti incendiari, non offriamo un punto di vista polarizzante, ma uno spunto per riflettere. Quello che mi piacerebbe è che qualcuno rispondesse davvero ai nostri articoli con una critica lunga e di un certo livello, sarebbe un modo per aprire un dibattito e confrontarsi. Vogliamo colmare un vuoto, crediamo che anche altri ne sentano il bisogno e per questo non mettiamo limiti ai nostri articoli. All’inizio pensavamo di fare sempre un certo tipo di proposta, ma abbiamo capito che la libertà ci rappresenta meglio.
Questo articolo è stata realizzato nell’ambito del corso di Testi e video per l’informazione giornalistica di Carlo Fumagalli. Vedi l’elenco completo degli insegnamenti del Master Professione Editoria.