Un progetto a cura degli allievi dei master in editoria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Camilleri, Scurati e Caminito: Giulia Ichino racconta la sua vita da editor

Giulia Ichino, editor per Bompiani

Domenico La Magna

Professione Editoria

Giulia Ichino, editor per BompianiCos’è che non ti viene mai chiesto e di cui vorresti parlare? “Buona domanda! Mi verrà di sicuro in mente dopo che ci saremo salutati.” Passa qualche secondo di silenzio, che sa già di mancata risposta. Poi Giulia Ichino, editor per Bompiani con un passato in Mondadori, si illumina: “Spesso in editoria risaltano i singoli, è inevitabile. Invece è più che mai un lavoro di squadra. È davvero una casa editrice, un luogo che senza l’aiuto di tutti non sarebbe ciò che è. Un giorno mi piacerebbe leggere un’intervista a chi chiede i diritti per le citazioni, all’ufficio tecnico, al magazziniere… si vedono molto meno, ma sono fondamentali per capire davvero di cosa è fatta la materia ineffabile dei libri.”

Oggi lavori come senior editor per Bompiani, ma hai iniziato come correttrice di bozze e poi redattrice e editor per Mondadori. Come ricordi quell’inizio?
Arrivai alla Mondadori dopo aver superato una prova: la correzione bozze di uno dei racconti ferraresi di Bassani, ricomposto per essere pubblicato nei Meridiani. Un testo irto di problemi, sia filologici sia redazionali, che mi appassionò tantissimo. Andai avanti come correttrice per un anno, poi entrai come redattrice. Quando avevo vent’anni non c’erano i bellissimi master di formazione editoriale di adesso, che avrei frequentato volentieri. Mi formai dentro Mondadori, dove conobbi un trio di capi a cui devo moltissimo: Elisabetta Risari, Renata Colorni e Antonio Franchini. Col tempo, poi, passai a coordinare i libri della collana Scrittori italiani e stranieri (Sis).

Che cosa hai imparato da quei maestri?
Da Elisabetta Risari e Renata Colorni, due figure fondamentali nella storia dei Meridiani, ho appreso l’attenzione amorevolissima al testo. A pormi tutte le domande possibili, anche sull’aspetto grafico, con il desiderio platonico di chi vuole che la forma corrisponda alla sua sostanza. A leggere e rileggere i testi. Ad abbandonare ogni compiacimento su quello che avevo scritto, analizzando e scomponendo il testo tante volte. Da Antonio Franchini, invece, a non idolatrare il lavoro dell’editor. Come mi ha sempre detto, l’energia vera un testo ce l’ha dentro. L’editor può solo aiutare a far sì che raggiunga il maggior numero di lettori.

A proposito: nel mestiere di editor bisogna sia rispettare il legame tra testo e autore sia avere presenti i bisogni dei lettori. Ci sono, poi, le esigenze di progettazione della casa editrice. Come si raggiunge l’equilibrio?
È vero, il lavoro editoriale è una continua tensione tra queste tre polarità. Un lavoro di progetto e visione e quindi di scommessa e investimento su qualcosa che non c’è ancora e che nessuno ha visto tranne autore e editore. Credere fortissimamente in un libro ha qualcosa di irragionevole e sfrontato, ma richiede anche una grande dose di buon senso; l’editoria è un’industria che deve sostentarsi e non può vivere solo delle proprie chimere. Bisogna, quindi, muoversi tra fede ed entusiasmo assoluti da un lato e cinismo e disincanto dall’altro, contemperare la passione e la perfezione con i numeri. E a volte capita di esultare quando i due poli si toccano.

Passando alle scelte più editoriali, ci sono autori o libri di cui sei più orgogliosa o altri in cui pensi di non aver creduto abbastanza?
La sofferenza per un libro che non riesce a raggiungere i lettori che si speravano è la stessa, qualunque sia stata la scommessa di partenza. Accade ogni tanto di dispiacersi per il tempo che non basta, forse è questo il vero rimpianto. Il mio sogno è che ogni editor sia responsabile di otto, massimo dieci testi all’anno e che su di quelli si possa occupare di tutto, dalla cura redazionale fino alla promozione sui social. Avere tanti colleghi specializzati sulle diverse funzioni è una grande risorsa: però il rischio che le energie si disperdano è sempre in agguato, e un editor che ama molto i suoi libri vorrebbe poterne seguire da vicinissimo tutto il ciclo vitale.

Come bisogna preparare la pubblicazione di un esordiente?
Qualunque sia il tramite per cui il testo di un esordiente giunge in casa editrice, l’acquisizione avviene col desiderio di annunciare al mondo la nascita di un nuovo autore e di farlo con forza. È un peccato pubblicare un esordio timidamente. Cerchiamo di scegliere libri che ci sembra dicano qualcosa di nuovo e che lo dicano con una forma consapevole, libri che portino con sé una forte emozione o un passo avanti dal punto di vista stilistico-letterario.

D’altro canto, hai lavorato con tanti grandi autori. Tra questi c’è anche Andrea Camilleri…
Ho grande nostalgia di Andrea. Era un narratore strepitoso, un conta-storie, come diceva di sé. Ho avuto la fortuna di mettere al suo servizio le mie competenze editoriali, ma direi che (oltre alla sua Editrice, Elvira Sellerio) la sua editor è stata Valentina Alferj. Ho lavorato per lo più ai suoi libri in italiano, quelli che pubblicava con Mondadori. Andrea aveva un rapporto molto intimo con la sua creatività, sapeva così bene ciò che voleva fare che non aveva paura di un aiuto nei pochissimi momenti che gli potevano servire: era felice di accogliere una correzione utile, e divertito delle piccole increspature nel testo che gli erano sfuggite. Camilleri ha vissuto tutta la vita appassionandosi alle persone che incontrava. Questa sua attitudine a vibrare assieme al mondo circostante, con una saggezza che non si è mai trasformata in cinismo, fa di lui una delle persone più straordinarie che io abbia mai incontrato.

Com’è stato, invece, lavorare alla pubblicazione di un progetto ambizioso come il ciclo di M, di Antonio Scurati?
Ho lavorato con lui per la prima volta come redattrice a inizio degli anni 2000, con Il rumore sordo della battaglia, il suo esordio presso Mondadori. Già allora era uno scrittore che parte dalla Storia ma che la pone in dialogo profondo e radicale con il presente; che piega la sua prosa in modo potente ed espressionistico, facendo collidere passato e presente per svelarne la mediocrità e al tempo stesso trarne schegge epiche. Quando è arrivato il progetto di M – Il figlio del secolo siamo tutti rimasti colpiti, era una sfida. Ci è subito apparso chiaro che dovevamo farlo arrivare ai lettori come un evento letterario eccezionale, evidenziando quanto il romanzo storico fosse in dialogo con il presente. E abbiamo lavorato perché fosse recepito come grande manifesto antifascista.

Infine, L’acqua del lago non è mai dolce, di Giulia Caminito, è tra i finalisti del Premio Strega. Un’autrice con cui hai già lavorato per Un giorno verrà. Com’è stato lavorare a questo libro e perché lo consiglieresti?
Ho conosciuto Giulia leggendo il suo esordio, La grande A, e poi lavorando con lei per Un giorno verrà. È una grande emozione veder crescere un’autrice e seguire il suo percorso nella ricezione del pubblico, ma anche sentire come ha messo a fuoco la sua voce e la sua forza libro dopo libro. L’acqua del lago non è mai dolce ha dei personaggi strepitosi. Due figure, madre e figlia, narrate con una ferocia e una compassione rara. Giulia parte da una fede ardente nella letteratura, nella cultura come strumento di lotta e di miglioramento delle sorti umane, eppure sa rivelare la vanità di tutto questo in alcuni contesti. E poi racconta il mondo da cui veniamo, gli anni ’90, non dissimile da quello dei giovani d’oggi. Un mondo post-ideologico in cui sembra che non ci sia più nulla in cui credere, dove proietta un desiderio titanico di felicità e di riscatto.

Giulia Ichino collabora con i Master in Editoria dell’Università Cattolica ed è docente di Fiction italiana del Master “Booktelling – Comunicare e vendere i prodotti editoriali”. Leggi l’elenco completo di docenti e insegnamenti.

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