Che la cucina non sia fatta solo per soddisfare i sensi dell’olfatto, della vista e del gusto lo scopriamo insieme a Massimo Salomoni, social media manager di Cucinare.meglio. Impariamo che preparare un piatto ha degli inaspettati risvolti sociali come nel caso della Panetteria-Pasticceria Giotto che, gestita dai detenuti del carcere di Padova, sforna i migliori panettoni d’Italia. Ma vediamo da vicino come il cibo diventi terreno di integrazione e strumento di confronto multiculturale.
Massimo Salomoni, speaker radiofonico, copywriter, direttore creativo, ora social media manager di Cucinare.meglio, ci racconti come è avvenuto quest’ultimo passaggio…
Ho sempre lavorato nel mondo della pubblicità: affissioni, televisione, campagne di stampa mi hanno permesso di sviluppare una mentalità strategica per affrontare la comunicazione. Nel 2009 i social media mi sono apparsi come un’illuminazione. Da allora ho unito alla comunicazione strategica la comunicazione social. Durante la creazione della community Un gallo in cucina per il sito Chicchiricchi di Riso Gallo, ho preso contatti con Cucinare.meglio che segnalava i food blogger, fenomeno allora nascente. Da due anni ormai ho un rapporto lavorativo con Cucinare.meglio e la sua community fatta di oltre 83 mila persone.
Quali sono gli ingredienti che determinano il successo di un blog di cucina?
Il primo player, Giallo Zafferano, ha fatto la sua fortuna grazie a una presenza costante sul web. Geniale l’intuizione di Sonia Peronaci di concepire il blog come una vera e propria azienda. L’utente deve esser sicuro di trovare quello che sta cercando quindi: presenza costante, personalizzazione (si è passati dal comunicare one to all al comunicare one to which), originalità e qualità.
Raccontate le ricette in maniera innovativa e originale, cosa vi siete inventati?
Sperimentiamo sempre cose nuove. Proponiamo le cosiddette inforicette dove dosi, preparazione, tempi di cottura di un piatto sono raccontati esclusivamente da immagini. Abbiamo ricette a ritmo di rap: due ragazzi cantano e spiegano come fare una parmigiana di melanzane o altri piatti gustosi… e poi ci sono i cibi speciali della Taverna degli Arna per vegani e crudisti, fotografati con grande maestria. Una grande attenzione infine la dedichiamo alla salute con tabelle sugli indici glicemici dei cibi e ricette glutenfree.
In vista dell’Expo, che progetti avete?
L’Expo attirerà una grande attenzione sul food, ma a settembre passerà. Bisogna che i temi del cibo sano, della multiculturalità abbiano un’eco più lunga. Più che rincorrere le tematiche di Expo, dobbiamo tenerle presenti come punto di partenza per svilupparne di più originali. La chiave di tutto sta nella capacità di raccontare storie e i nostri blogger hanno tutti qualcosa di interessante da dire.
Abbandoniamo allora la cucina tradizionale?
Mentre in tv il cibo è presentato nel suo aspetto esteriore ed estetico, dal momento che lo spettatore può fruirne solo con il senso della vista, si devono riacquistare invece la dimensione del tempo e quella del racconto. Ed è quello che vogliamo fare con l’inforicetta dell’acqua cotta, un piatto della tradizione delle carbonaie che, prima di andare a lavoro, mettevano a sobbollire in una pentola tutte le erbe che avevano a disposizione.
Le inforicette hanno una grande potenzialità: parlano a tutti e possono essere capite da tutti. La cucina è dunque uno strumento di integrazione culturale?
Una ricerca condotta da Etnocom etnomarketing per Barilla, qualche anno fa, dimostrò che i sughi pronti, ritenuti un prodotto premium per via del loro prezzo, erano acquistati dalle famiglie straniere che avevano ospiti a pranzo, la domenica. Ebbene, per gli stranieri il prezzo del barattolo di ragù all’italiana era modico dal momento che con quella cifra ci si “comprava” una fetta di integrazione.
L’ultima domanda gliela rivolgiamo noi, futuri operatori dell’editoria: dovremmo abbandonare la tradizione per la multimedialità?
I due mondi non sono inconciliabili. I libri di cucina vendono tantissimo, sono oggetti che rientrano nella sfera affettiva: ricordano i ricettari che le mamme e le nonne compilavano e conservavano. La rete è altrettanto importante e fa nascere nuove idee come nel caso di Gnammo, start up di punta del Politecnico di Torino, che concilia la richiesta di mangiare fuori casa con quella di utilizzare la propria casa come luogo dove organizzare cene e fare nuove amicizie.
Elisa Savaresi e Caterina Vitale