“Rifiutare di entrare in relazione con il nostro pubblico è fatale, perché ti distacca sempre più dalla realtà. E quelle copie che non si vendono in edicola, quegli abbonamenti che non crescono, sono i destinatari che ti dicono: ‘Vi siete dimenticati di noi’. Non considerare la componente di relazionalità del mestiere, significa che ci dimentichiamo di te che leggi”
La proposta contenuta nel libro è il manifesto italiano dello Slow Journalism: un elenco di 10+1 regole che ne delineano la fisionomia, cui fa da sfondo l’analisi di modelli da imitare o da archiviare.
Questo libro è anche un’inchiesta, evidenziata fin dal sottotitolo, sulle cause dell’attuale diffusa sfiducia nel giornalismo, non soltanto in Italia. Con una domanda di fondo: la credibilità dei giornalisti è stata uccisa o si è suicidata?
Tanti sono i sospettati alla sbarra. Con due assenze illustri: la colpa – secondo gli autori – non è né dei social network né di internet, ma piuttosto della caccia alla notizia quotidiana, per il consumo immediato, dei titoli emotivi e gonfiati per collezionare click, dell’eccessivo potere concesso agli inserzionisti paganti.
La soluzione proposta dallo Slow Journalism è radicale e, ovviamente, richiede tempo: riconquistare la fiducia dei lettori proponendo un’informazione che guarda non all’oggi ma al lungo periodo, indipendente e documentata, finanziata dagli utenti stessi.
Più che a parole, il manifesto dello Slow Journalism è spiegato nei fatti, nell’impostazione stessa del libro. Gli autori sono entrambi giornalisti dell’informazione in rete: Nalbone è tra i fondatori della cooperativa sociale ilSalto.net, Puliafito della testata Slow News. Sono giornalisti, e come tali si esprimono: raccontano il loro punto di vista, senza pretendere che sia l’unico vero. Parlano dei siti e dei progetti cui collaborano, senza nascondere i loro interessi (anche economici) in proposito. Dimostrano coraggio nel citare – e criticare – testate autorevoli, tra cui il “Corriere della Sera” e “la Repubblica”, e nello smascherare, tra le fonti di fake news, siti politicamente influenti come quelli riferibili a Beppe Grillo.
Il libro parla un linguaggio coinvolgente ma non emotivo, con un ritmo incalzante: Nalbone e Puliafito si passano il testimone, alternando le loro parole a quelle di professionisti come Mario Calabresi e Peter Laufer.
In conclusione, la promessa del dialogo con il lettore, più volte sfidato a verificare le fonti, è mantenuta e non si chiuderà il libro senza la convinzione che leggerlo sia stato un buon utilizzo del proprio tempo. Qualche dubbio rimane, però, sulle analisi qui proposte dei grandi modelli di Slow Journalism, a partire da The Correspondent: è credibile che esso sia davvero incorruttibile come sembrano sostenere i due autori?
Sia come sia, l’esito di questa indagine sull’omicidio/suicidio del giornalismo è chiaro: il giornalismo non è affatto morto e ha ancora un ruolo insostituibile per la nostra società.
Daniele Nalbone, Alberto Puliafito – Slow Journalism. Chi ha ucciso il giornalismo?
246 pagg., 17,50 euro – Fandango Libri 2019 (Documenti)
ISBN: 978-88-6044-597-1