Un progetto a cura degli allievi dei master in editoria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Donata Schiannini. Il nostro ricordo

Il 29 gennaio 2021, Donata se n’è andata. Lo ha fatto in punta di piedi, improvvisamente.

Apprezzatissima studiosa della lingua italiana (è autrice di vari testi di grammatica per l’Accademia della Crusca), ha lavorato a lungo in Garzanti come redattrice e caporedattrice dei dizionari e dei testi scolastici, poi è passata alla direzione editoriale delle Opere di Consultazione in Bruno Mondadori. 

Nei nostri master in editoria (che nascono da quella Scuola di Editoria che ha attivamente contribuito a fondare, nei primi anni Ottanta, insieme a Ferdinando Scala) lascia un vuoto grandissimo, che cerchiamo di riempire con le parole di chi ha avuto la fortuna di incrociare il proprio cammino con il suo. In primis, quelle della sua allieva più affezionata: Elisa Calcagni, co-titolare, insieme a Donata, dello Studio Lemmàri.

Ma anche quelle di Ferdinando Scala, fondatore della Scuola di Editoria, e di tutti i docenti, gli allievi, ex allievi e ora professionisti che hanno voluto lasciarci un loro ricordo di Donata.

Per chi volesse vederla in azione, vi riproponiamo inoltre il video di La lingua italiana: buone notizie oltre i catastrofismi, il dibattito del ciclo Editoria in progress in cui è stata nostra ospite, nel giugno 2020, insieme a Vera Gheno, Elisa Calcagni e Gianluca Orazi. 

E, infine, per chi volesse cogliere nuovamente tutta la sua verve di linguista, rimandiamo al suo bel volume del 2018 Come lo scrivo? Guida pratica a una lingua che cambia (qui la recensione pubblicata sul nostro blog) e all’intervista che le abbiamo fatto qualche tempo fa.

E, ora, la parola ai ricordi… 


Ciao Donata: il ricordo di Elisa Calcagni

Quando mi vide alla cerimonia di commiato per suo figlio Marco, Donata mi abbracciò e mi disse “Elisa, la mia figlia di lavoro”.

Credo che bastino queste poche parole, che porto dentro di me come un tesoro di valore inestimabile, per dare un’idea di quale sia stato il rapporto tra Donata e me.

Dal punto di vista della mia vita professionale a Donata devo tutto: il mio lavoro, le mie competenze, l’amore per quello che facevamo insieme e che tuttora faccio, il metodo, e anche i contatti con le persone e con le aziende con cui lavoro, che spesso sono arrivate a Studio Lemmari perché il nome di Donata è noto e stimato in tutto l’ambiente editoriale milanese.

Prima di scrivere queste righe, pensavo di sapere quello che avrei dovuto scrivere a Donata, pensavo che sarebbe stato facile dirle grazie.

Grazie per avermi insegnato a lavorare con passione, con precisione, con serietà, ma anche con occhio critico, mente aperta, curiosità, assenza di rigidità; grazie per avermi contagiato un po’ del tuo sguardo curioso e analitico verso la lingua ma anche verso il mondo che ci circonda.

Grazie per avermi insegnato a lavorare con rispetto, con dei valori guida, con l’idea fondante e non negoziabile che ogni persona viene sempre e comunque prima di ogni lavoro.

Grazie per avermi insegnato a lavorare con leggerezza, che non è superficialità ma è lucida consapevolezza che, per quanto importante o appassionante o stressante sia un lavoro… è “solo lavoro”, e le cose importanti della vita sono altre (“Non vale la pena di arrabbiarsi, è solo lavoro”).

Grazie per avermi permesso di entrare nel progetto formativo che tu e i tuoi amici avete creato, così io ora, in questa situazione di profonda mancanza, di voragine di senso, trovo comunque il modo e la forma di trasmettere i tuoi insegnamenti e di farli vivere, mandandoli nel mondo del lavoro attraverso le menti fresche e brillanti dei nostri studenti e delle nostre studentesse.

Ecco, ho sempre pensato che avrei detto questo: che d’ora in poi tutti possiamo far vivere Donata nel presente e nel futuro, portando avanti i suoi insegnamenti di storia della lingua e di lessicografia, ma anche e soprattutto quelli di rispetto, di etica, di intransigenza morale unita all’elasticità intellettuale e allo sguardo sempre benevolo che aveva sugli altri.

Oggi però mi sembra che tutto questo (che certamente è enorme e fondamentale, soprattutto per noi del Master) sia una briciola di quello che ho ricevuto e che ho vissuto con Donata.

Perché Donata non mi ha solo insegnato un mestiere, non mi ha solo consegnato un’eredità professionale.

Con Donata ho lavorato per tanti anni in un ufficio che era una famiglia. Si lavorava tanto, con impegno, con orari anche improbabili; ma si lavorava sereni, si lavorava sorridendo, si lavorava volendosi bene.

Quando sono arrivata a Lemmari ero una discreta correttrice di bozze, con ben salda in testa l’ortodossia della penna rossa (tutt’al più verde se proprio mancava il rosso). Poi ho iniziato a lavorare con Donata che, con il suo bel corsivo, correggeva fittamente bozzoni A3 con dei pennarellini a punta finissima rosa, turchese, viola; ho subito imparato che la regola della penna rossa è una buona regola da cui partire, ma che correggere le bozze usando diversi colori, e magari anche, in certi casi, il fluo dell’evidenziatore, può essere non solo piacevole ma anche utile e funzionale alla chiarezza.

E come una bozza colorata non è corretta meno bene di una in rosso, anche lavorare parlando non produce risultati meno buoni che lavorare tacendo. Tutt’altro.

E così non è stato solo lavoro: è stata vita, è stato affetto, è stata condivisione di storie familiari, di amicizie, di tè, caffè e biscotti, di tanti momenti piacevolissimi e anche di qualche momento davvero difficile e doloroso.

Donata era una donna estremamente autentica, energica, vitale, e tutto quello che girava intorno a lei, e di riflesso anche a noi, era profondamente vivo.

Potrei scrivere pagine e pagine dei nostri piccoli riti quotidiani, dei nostri scaffali di libri e dei nostri alfabeti appesi al muro, delle persone (a volte personaggi) che passavano dallo studio, della confidenza e della facilità con cui si parlava di tutto, e il nostro ufficio si apriva e diventava il mondo, grazie a Donata e alla sua capacità di accompagnarci ovunque.

Da molti, sul lavoro, vengo considerata l’erede di Donata, e questa è una grossa responsabilità, che potrebbe far paura. E invece no, non ne sono spaventata: Donata mi ha dato la fiducia in me stessa necessaria per pensare che certamente non sarò alla sua altezza (chi potrebbe pensare di esserlo?), ma sarò all’altezza del compito che più o meno implicitamente mi ha lasciato. Se lei credeva in me, allora so che posso farcela.

Molto più che una formatrice e una mentore, per me, Donata mi ha dato radici così salde che ora mi fido delle mie ali. So che potrò trasmettere almeno un po’ della bellezza che ho ricevuto. Potrò insegnare a qualcun altro a correggere a colori, e andrà bene così.

 

Ciao Donata.

 

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