Un progetto a cura degli allievi dei master in editoria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Il villain da ieri a oggi. La “riforma dei cattivi” nei nuovi adattamenti di fiaba, mito e fumetto

“Villains are part of who we are as a people, a dark mirror of what we aspire to be. There will always be bad guys. Thankfully, however, there will also always be heroes.” – Richard A. Hall, The American Villain, ABC-CLIO, California, 2021

È un fatto universalmente riconosciuto che ogni eroe che si rispetti abbia bisogno di un villain che gli faccia da degno contraltare per dare vita a una storia in grado di avvincere lettori e spettatori. O almeno lo era prima dell’ultimo decennio, che ha visto emergere una tendenza a riconsiderare notevolmente – spesso, anzi, totalmente – il ruolo tradizionalmente associato al “cattivo” delle storie. Perché, si sa, i gusti del pubblico e le ideologie dominanti cambiano di pari passo con l’evolversi della società: questa è oggi pesantemente influenzata dalla globalizzazione, dalla pervasione di Internet, dal sovraccarico di informazioni, con effetti collaterali che includono il politically correct e la cancel culture. Ne deriva una società estremamente fluida, in cui la divisione tra bianco e nero, eroe “buono” e villain “cattivo” risulta decisamente problematica rispetto al tardo Novecento o perfino ai primi anni del nuovo millennio. Non sorprende quindi che proprio la figura del villain sia forse stata quella che ha maggiormente subito il cambio di percezione del pubblico, che non si sente più coinvolto da personaggi che non rispecchino il contesto in cui vive – nel migliore dei casi – o che può addirittura considerarli un esempio offensivo nei confronti del proprio credo o cultura – nel peggiore.

Ecco quindi che il villain, personaggio talvolta più popolare dell’eroe stesso, proprio in quanto “specchio oscuro di ciò che noi realmente aspiriamo a essere”, non si accontenta più solo dell’empatia del pubblico nella sua versione più odierna. In taluni casi, anzi, il cattivo viene ripensato per le nuove generazioni in modo tanto radicale da coincidere con l’eroe stesso: le streghe malvagie vengono rese eroine del bene (Maleficent di Robert Stromberg, 2014), i dannati vengono giustificati delle loro colpe e resi eroi della lotta contro le leggi divine (L’ora dei dannati di Luca Tarenzi, 2020), perfino il malevolo dio dell’inganno diviene protagonista positivo di una linea temporale alternativa (Loki di Michael Waldron, 2021).

Gli esempi menzionati – rispettivamente un adattamento cinematografico, un retelling moderno in chiave fantasy e una serie televisiva – dimostrano come la tendenza a riformare il villain in modo giustificato, positivo o addirittura eroico, risulta essere particolarmente marcata proprio negli adattamenti (transmediali) delle opere del passato (le fiabe, la Divina Commedia, la mitologia, i fumetti di vecchio stampo, ecc.). Questo perché le storie del passato offrono all’adattamento un doppio beneficio: quello di avere un solido canovaccio da cui partire e, al contempo, la possibilità di applicare a una storia ampiamente conosciuta le proprie modifiche originali, più o meno dirompenti, per produrre un effetto di “novità”. Strategia nel complesso rivelatasi vincente, visto il grande successo di pubblico ottenuto da molte di queste produzioni; nel lungo termine, tuttavia, c’è il rischio che la formula di riforma positiva del villain diventi scontata, forzata o perfino anacronistica.

 

Frozen, o dell’antagonista che stravolse fiaba e canone Disney

Se si pensa a un adattamento che ha letteralmente sconvolto il cinema d’animazione – e non solo – attraverso la riforma in positivo del villain, ottenendo un record d’incassi battuto soltanto dal suo stesso sequel, non si può non pensare al caso epocale di Frozen, lungometraggio animato della Disney (molto) liberamente ispirato alla Regina delle Nevi di Hans Christian Andersen. Una fiaba che bolliva in cantiere alla Disney fin dal 1940, ma il cui adattamento travagliato, per un motivo o per l’altro, venne ripetutamente rimandato fino al 2008 e poi al 2012. La trasformazione radicale del personaggio di Elsa, originariamente il villain dell’intera storia, si deve soprattutto alla sceneggiatrice Jennifer Lee: durante la composizione della canzone Let It Go (divenuta poi virale), Lee decise di effettuare una vera e propria “inversione a U” del personaggio, fino a riscrivere quasi completamente la storia a pochi mesi dall’uscita del film nelle sale. Da film d’avventura, Frozen divenne una commedia musicale. E la regina Elsa, da villain senza scrupoli intenzionata a rapire la sorella Anna al suo matrimonio, congelarle il cuore e poi invadere il regno con un esercito di pupazzi di neve, divenne quasi l’esatto opposto dell’originale: una sorella amorevole che agisce esclusivamente in funzione della paura costante dei propri poteri innati e incontrollabili – al punto da non accorgersi neanche di aver congelato un regno intero. Una trovata che aveva inizialmente lo scopo di creare semplicemente maggiore empatia per il villain, ma che fu poi estremizzata per rendere Elsa un personaggio positivo, passivo e decisamente più confortante. Il film ebbe un tale successo di pubblico che segnò un vero e proprio cambio di strategia nella produzione dei nuovi cartoni della Disney Pixar, che da allora si concentrò sul creare antagonisti sempre più “perdonabili” e/o scarsamente identificabili come tali. Caso estremo è stato quello di una vera e propria assenza di villain con Encanto (2021), film che per molti versi rappresenta un punto di saturazione della strategia inaugurata da Frozen: questa formula, soprattutto se abusata, scade infatti facilmente nel politically correct, con personaggi resi incapaci di compiere azioni legittimamente “cattive”.

 

Kaikeyi, o del retelling femminista del mito

La riforma positiva del villain non si limita al grande e piccolo schermo: una forma di adattamento che ben ci si presta è quella del retelling, ovvero la rivisitazione scritta di fiabe, miti, poemi e grandi classici per creare un’opera nuova pur mantenendo le caratteristiche essenziali degli originali. Un esempio calzante e molto più recente di ciò è quello di Kaikeyi (2022), romanzo d’esordio della studentessa americana di origini indiane Vaishnavi Patel – tuttora inedito in Italia. Kaikeyi, fin dal titolo, sembra volersi inserire in quella tradizione di retelling mitologici al femminile che hanno particolarmente spopolato nell’editoria internazionale degli ultimi anni, a partire dalle varie Arianna (2021), Elettra (2022) e Atalanta (2023) di Jennifer Saint, Clitemnestra (2023) di Costanza Casati e, naturalmente, il bestseller Circe (2018) di Madeline Miller. Kaikeyi cerca però di distinguersi tra i vari retelling in due modi: da un lato, attinge a un patrimonio epico-mitologico decisamente più atipico dell’abusato pantheon greco, ovvero quello indiano del poema epico Ramayama. Dall’altro, a differenza delle sue “cugine” in salsa greca, l’opera di Patel effettua la redenzione femminista di un vero e proprio villain: quello della regina Kaikeyi che costrinse il re di Kosala, suo marito, a privare del trono e a esiliare ingiustamente il figliastro Rama, protagonista originale del poema. Patel avrebbe deciso di scrivere questo retelling a seguito di una discussione tra sua nonna e sua madre, la quale sosteneva che, senza Kaikeyi, Rama di fatto non sarebbe mai partito per compiere il suo destino di uccidere il malvagio demone Ravana e quindi diventare un grande eroe epico. Patel però non si limita a riscrivere la storia dal punto di vista di Kaikeyi – giustificandone le azioni – ma la rende una vera e propria eroina del femminismo (pur evitando anacronismi evidenti e rispettando gli elementi essenziali del poema). Nel romanzo omonimo, Kaikeyi emerge come una protagonista estremamente virtuosa, che combatte per la propria libertà e per quella delle altre donne con saggezza, buonsenso, un pizzico originale di magia e – ovviamente – la capacità di combattere e usare le armi. Kaikeyi si oppone e denuncia le discriminazioni e gli abusi di potere da parte degli uomini, ma al contempo si adopera per migliorare concretamente le condizioni delle donne del suo contesto. Sorprendentemente, Kaikeyi agisce anche d’amore e d’accordo con suo marito (e le sue stesse altre mogli), di cui, pur non amandolo, si è conquistata la fiducia dopo averlo salvato in combattimento. Un’eroina di grande forza di cui Patel cerca di sottolineare anche il lato più umano… ma che, paradossalmente, ha il suo punto debole proprio nella persistente nobilitazione del personaggio. Ricordando a più riprese come ogni azione di Kaikeyi sia in realtà votata al bene, Patel toglie alla villain tutto ciò che la rendeva tale e la trasforma in un personaggio idealizzato, apparentemente incapace di provare qualunque forma di (legittimo) egoismo. In Kaikeyi, insomma, si rovesciano i ruoli: la matrigna diviene l’eroina senza macchia e senza paura, mentre l’eroe originale diventa il “cattivo” che incarna la misoginia del contesto circostante.

 

Joker, o del comic villain che era “uno di noi”

Vincitore del Leone d’oro alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il Joker (2019) di Todd Phillips si pone esplicitamente l’obiettivo di riscrivere le origini del celeberrimo villain omonimo della serie di Batman. Questo adattamento cinematografico è un ottimo esempio per mostrare quanto sia cambiata la percezione del villain rispetto a dieci anni fa: il film infatti si discosta totalmente e intenzionalmente non solo dalla rappresentazione originale del personaggio dei fumetti DC Comics, ma anche da tutte le produzioni che hanno portato il personaggio sul grande schermo in precedenza (Batman di Tim Burton, 1989, e naturalmente Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan, 2008). Il malefico pagliaccio psicopatico, una sorta di mostruosa incarnazione della follia e del caos, subisce qui una sorta di umanizzazione, per non dire “normalizzazione”, assolutamente dirompente: non più una figura irrazionale, quasi simbolica – non a caso prende il nome da una carta da gioco – ma un essere umano come tutti gli altri. Non si ha più a che fare con il Joker, ma con Arthur Fleck, un individuo depresso e alienato, perfino gentile, ma che rimane vittima di un tale degrado, della disuguaglianza e dell’indifferenza della società, da trasformarsi in un irredimibile assassino. Uno dei villain più famosi del mondo del fumetto viene riscritto radicalmente proprio per avvicinarlo il più possibile al pubblico odierno: se il “cattivo” originale era estremamente distante, proprio perché incomprensibile nel senso più letterale del termine, il film di Phillips vuole comunicare che ogni uomo, oggi, può benissimo diventare un “Joker”. E, cosa ancora più eclatante, i Joker non sarebbero più nemici della società, ma prodotti della società: e quest’ultima diventa di conseguenza il vero antagonista di tutta la tragedia, e Joker, al contrario, una vittima. La rivisitazione radicale di Joker si è dimostrata essere, nel complesso, una strategia vincente, che ben rispecchia il nuovo contesto mediatico in cui si muove il villain: lo dimostra il discreto successo ottenuto dal film sia presso la critica che presso il pubblico. C’è stata, tuttavia, anche una serie di rimostranze, principalmente dovute al messaggio di fondo estremamente violento e pessimista trasmesso dal film. Il villain, in questo caso, monopolizza a tal punto l’adattamento da cancellare l’esistenza stessa dell’eroe e della speranza di cui è portatore. Una rappresentazione nuova, moderna, estremamente cruda e realistica del “cattivo”, ma in cui non c’è più nulla della follia viscerale e simbolica che venti, dieci anni fa rendeva il Joker canonico così accattivante.

 

Il rinnovamento nel modo di rappresentare il villain ovviamente non si ferma qui, e continuerà a cambiare e a riformarsi nel tempo, man mano che evolveranno la società, i mass media, il mondo digitale e così via. Ed è proprio per questo che i “cattivi” si confermano uno specchio “oscuro” infallibile nel riflettere il mondo in cui viviamo, incarnandone concretamente le battaglie, le paure, le ossessioni e perfino gli ideali.

 

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del corso “La SEO e l’ E-mail Marketing per l’editoria” del Master Booktelling, tenuto da Claudia Consoli. Visita il nostro sito istituzionale per saperne di più sull’offerta del Master.

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